Partiamo dalla fine? Va bene, se proprio insistete… È stato un bel Run “culturale” che mi è piaciuto molto. Non che io disprezzi i Run “gastronomici”, ma quelli dove andiamo a conoscere meglio la storia del nostro Paese mi piacciono di più rispetto a quelli dove ci sfondiamo di cibo. BLING! Notifica Facebook: “Alberto Sciuccati ti ha tolto l’amicizia”. Perdonami, Gran Maestro Culinario! Non lo dico più, promesso!
Martedì 25 aprile siamo partiti da Legnano in 39 per questo giro proposto convintamente da Davide Solbiati e devo ammettere che aveva ragione a non mollare. Purtroppo, proprio lui non è potuto venire ma il ruolo di guida spirituale è stato svolto egregiamente da Max Tacchi. Molto bravi sia lui che Giovanni nell’organizzare sia la visita guidata alla Sacra che la pausa mangereccia al Birrificio di San Michele ed il gruppo strada a non perdere mai un colpo.
Dopo circa 130 km di autostrada per Torino, incluso pit stop al grill con caffè e pipì orientativa per capire da che parte tira il vento, saliamo per un’altra trentina verso Avigliana ed il Monte Pirchiriano per raggiungere finalmente il parcheggio della Sacra. Grazie all’aiuto dei vigili presenti, riusciamo a sistemare tutte le moto e ad avviarci a piedi verso il nostro obiettivo. Partiamo brillanti ma la strada è tutta in salita, e le circonferenze più grandi iniziano un po’ a soffrire dopo qualche centinaio di metri; tra sbuffi, sospiri ed un primo round di scale, raggiungiamo l’abbazia a 960 metri di altitudine che risulta maestosa sin da subito. Visto che il Papato aveva stabilito che il Pirchiriano era montagna sacra e conseguentemente non si poteva “toccare”, per costruirla hanno dovuto integrare le pietre con la roccia esistente con un risultato finale spettacolare. Sono praticamente tre livelli di struttura che si arrampicano sulla montagna e direi che sono stati proprio bravini visto che si parla all’incirca dell’anno 1000 e non avevano certo a disposizione le tecnologie attuali. Sistemata la questione biglietti ed accalappiato Marco, la ns guida, iniziamo la visita naturalmente con un altro giro di scale. Marco è ben preparato ed il suo racconto delle origini della Sacra sono chiare ed interessanti. Inizialmente un piccolo insediamento romano, poi sostituito dai Longobardi sempre con lo scopo di tenere sotto controllo questo passaggio naturale diretto tra Italia e Francia che passa dalla Val di Susa. Successivamente, arrivati appunto intorno all’anno 1000 e poi 1100 sull’onda della costruzione di numerosi edifici religiosi in quel periodo, viene edificata l’abbazia vera e propria che, dopo vari ampliamenti ed altrettanti ricostruzioni, arriva ad essere come la vediamo adesso.
Marco ci porta oltre l’ingresso e, non l’avrei mai detto, ci si para davanti un’altra scalinata, così ripida da essere roba da sherpa nepalesi. I soci più stambecchi saltellano su che è un piacere fino al pianerottolo successivo mentre altri tramite whatsapp comunicano preventivamente la posizione alle pompe funebri. Meglio portarsi avanti. A metà della seconda rampa, Marco capisce l’antifona e con la scusa di farci notare come tutta la costruzione sia perfettamente integrata nella montagna senza asportarne un centimetro, ci permette di svenire sui gradini e recuperare fiato prima dello sprint che ci porta al secondo livello. La vista sulla pianura padana è fantastica ed infinita ma anche questa parte di storia non è malaccio. Dopo un declino durato più di 500 anni e dopo che l’ordine dei benedettini aveva perso la “gestione” dell’abbazia, tutta la struttura era andata in grandissima decadenza anche perché lasciata in totale abbandono per un paio di secoli. Fino a che Carlo Alberto di Savoia, intorno al 1800 non decise di ricostruirla. Visto che sono stati utilizzati materiali differenti rispetto agli originali, gli interventi in pietra “verde “sono chiaramente visibili. Adesso bisogna salire al terzo livello. Ascensore? Ma quando mai…. Vai di scale, again. I benedettini hanno perso la Sacra perché sono tutti morti d’infarto, altro che per decadenza. Comunque, in qualche modo arriviamo al terzo livello, quello della chiesa, dei dipinti perfettamente conservati e dei 16 sarcofagi dei principi che volevano riposare confidando nel fatto che nessuno sano di mente si sarebbe inerpicato fino a lì a rompere i marroni. Ma non conoscevano il Legnano Chapter, i principini. Ed infatti eccoci qua! All’interno troviamo tutto quello che ti aspetti in una chiesa: altare, colonne, absidi, agognatissime panche; ma la caratteristica principale è che anche qui si notano i differenti interventi a modificarne la struttura. La parte dell’altare è di stile romanico, mentre man mano che ci si allontana vira sempre più verso il gotico. L’ultima colonna a sinistra della chiesa è integrata proprio sulla “punta” del Pirchiriano con tanto di targa per sottolinearne la particolarità “culmine vertiginosamente santo”. E a due metri da questa colonna unica nel suo genere si apre una porta che dà sulla terrazza con vista su Valle di Susa, Chiuse di San Michele e confine francese a sinistra e valle padana a destra. Tira un bel vento e c’è un sole incredibile per cui si riesce a vedere il panorama fino a km di distanza. Marco a questo punto ci saluta anche perché è l’una e trenta e capisce che si sta intromettendo tra noi ed il Birrificio di San Michele che ci aspetta a spillatrici aperte. Tre o quattro di noi cercano di nascondersi nei sarcofagi piuttosto che affrontare la discesa ma alla fine prevale la sete e ripartiamo tutti in direzione Birrificio. Guarda caso siamo lì in un attimo e, grazie agli hamburger più grandi che abbia mai visto, recuperiamo fiducia nel futuro e disponibilità verso il prossimo.
È il momento di tornare. Abbiamo fatto un po’ tardi e le notizie meteo che arrivano dai nostri lidi non sono rassicuranti; di conseguenza il Road Tacchi decide di accorciare i tempi del tragitto portandoci a casa passando nuovamente per l’autostrada. E qui finisce per oggi. Ma siamo già ripartiti per andare a Jesi al Run del Picchio. Altro giro, altro articolo in una giostra che non smette mai di girare fino all’inverno. Figo, no?
Alla prossima.
Davide